DAL TUO TERRAZZO SI VEDE CASA MIA

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Un po’ influenzata dal tormentone del momento «i racconti non vendono» che continuano a ripetere tutti, un po’ per ricerca, per poter scegliere le letture delle serate de La Sere vi legge… in questo ultimo anno sono passate per le mie mani diverse raccolte, alcune lette meticolosamente dall’inizio alla fine, altre spulciate in qua e in là.

Come per la letteratura tutta, ci sono pagine che mi folgorano e altre che mi annoiano o mi lasciano del tutto indifferente, ma raramente mi è capitato di leggere una raccolta tutta d’un fiato senza battere ciglio. Spesso infatti rallento la lettura, la intermezzo con altri libri o semplicemente mi trascino per settimane sullo stesso. Inoltre, dopo un certo numero di racconti, sento il bisogno di tornare ai miei romanzi e lasciarmi cullare per pagine e pagine in un lungo viaggio. Qualche volta invece, poche, non riesco a staccarmi da un racconto e, terminato uno, inizio di corsa il seguente, rapita dalla curiosità di sapere cosa succederà.
Ma forse è proprio questa libertà di scegliere di volta in volta come leggerlo, quanto allungarlo e quando abbandonare il libro che fanno di lui un genere prezioso, che pian piano sento di cominciare a conoscere e ad apprezzare.

Tutta questa introduzione per dirvi che nelle prossime settimane vi proporrò alcune riflessioni sulle ultime raccolte di racconti che ho avuto il piacere di leggere e oggi cominciamo subito con un esordio.

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DAL TUO TERRAZZO SI VEDE CASA MIA

di ELIVS MALAJ
Racconti Edizioni, 2017
14.00 €
È questa una di quelle raccolte che mi ci sono volute alcune settimane per arrivarne a capo, e che ho intercalato con altre letture. Non certo per noia. Ogni racconto è un piccolo mondo, racchiuso in se stesso e mi piaceva gustarmeli anche a piccole dosi.

Un esordio, dicevo, quello di Elvis Malaj – origine albanese, in Italia da quindici anni – che gli ha fruttato un posto tra i dodici semifinalisti del Premio Strega 2018.

Come lui, anche i suoi racconti si collocano tra Italia e Albania, raccontandone differenze, similitudini e stereotipi che regolano i rapporti tra i due Paesi. Il tono ironico ci accompagna con un sorriso lungo il confine, passando un po’ di qua e un po’ di là da questa linea immaginaria che troppo spesso ci incute timore, offrendoci così un punto di vista ogni volta diverso.
I racconti scorrono via veloci, sono freschi, le situazioni a volte grottesche strappano più di una risata, ma è una risata amara, carica di pensieri e riflessioni che via via si accumulano in meno di 200 pagine. Anche la lingua è scorrevole, ma a tratti l’italiano suona strano, seppur corretto: quasi a voler ricordare che chi scrive non è di madrelingua italiana. L’uso ricorrente di termini sboccati, «cazzo» in primis, anche lì dove non ce ne sarebbe così tanto bisogno, ne è forse un esempio, che a volte è però buttato lì un po’ troppo facilmente, magari smontando un bel finale con quel tocco di squallore in più, non necessario. Il testo è poi intercalato da frasi intere in Albanese, che non vengono tradotte, mettendo anche il lettore italiano nella condizione di non capire tutto, proprio come se fosse anche lui uno straniero. Ed ecco allora che la linea immaginaria di confine viene valicata più volte.
Per i più pigri, segnalo anche i due racconti che mi hanno colpita di più:
  • Vorrei essere albaneseIl primo della raccolta, che ti fa entrare subito nel mood del libro, con la giusta dose di (auto)ironia e di scontro con la realtà. Le prime due pagine si prestano particolarmente bene da leggere ad alta voce e da recitare come un monologo davvero esilarante.
  • Morte di un personaggio 
    L’ultimo, un racconto più complesso degli altri e più completo, sviluppato proprio come un piccolo romanzo, del quale ha anche la tensione narrativa. I personaggi si svelano meglio e si lasciano andare a riflessioni e a slanci quasi poetici. Molto interessante anche il racconto dentro al racconto.
E per concludere, vi lascio una citazione:
«Il razzismo non esiste»

… continua a ripetere come un mantra il personaggio di Vorrei essere albanese… e io aggiungo, proprio oggi, proprio in queste settimane:

«Ma magari!».

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