IL CANE, IL LUPO E DIO

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Scheda del libro

TITOLO: Il Cane, il Lupo e Dio
AUTORE: Folco Terzani, illustrazioni di Nicola Magrin
EDITORE: Longanesi
ANNO: 2017
PAESE: Italia
TRAMA: Un Cane viene abbandonato dal padrone e per la prima volta nella sua vita si trova tutto solo. Un misterioso Lupo lo invita a entrare nel bosco e a recarsi alla Montagna della Luna, dove potrà dare risposta alla domanda più grande. Lungo il cammino il Cane scoprirà la vita in natura, tra pericoli e incontri.

Le mie riflessioni

Quando, qualche settimana fa, lessi che Folco Terzani veniva a Bologna a presentare il suo ultimo libro, illustrato da Nicola Magrin, ero entusiasta e ho fatto i salti mortali per assistere all’incontro, scapicollandomi dal lavoro per arrivare in tempo. Dopo essermelo perso con grande dispiacere per ben due volte durante l’estate – a Estoul per Il richiamo della foresta e a Mantova per Festival Letteratura – non potevo certo lasciarmi sfuggire anche questa occasione.
Nicola Magrin purtroppo era tornato la notte prima dal Nepal, dove sapevo che era stato per un mese con Paolo Cognetti e Stefano Torrione e non era quindi presente. Folco Terzani ha parlato tanto, tantissimo – lasciando dire appena due parole ad Alberto Sebastiani, che presentava l’incontro – e io sono tornata a casa interdetta. Non riuscivo a decifrare appieno l’impressione che mi aveva lasciato questo personaggio che conoscevo di fama, di cui avevo letto cose e che nella mia mente era forse un po’ troppo simile a Elio Germano ne La fine è il mio inizio di Jo Baier. Insomma, sentivo che c’era qualcosa che mi lasciava perplessa di Folco e del libro che aveva presentato e osannato quasi urlando, ma ho deciso di dargli una chance e così mi sono portata a casa Il Cane, il Lupo e Dio.
Ho atteso un po’ prima di leggerlo; allora ero in pieno mese sabbatico dedicato tutto a racconti e fumetti e non volevo venire meno alle mie promesse. Poi una sera ho deciso che era arrivato il momento, già non mi ricordavo più tanto dell’incontro in libreria e mi sentivo quindi sufficientemente libera da impressioni e pregiudizi per immergermi nella lettura di questa fiaba universale, com’è stata definita. Già a poche pagine dall’inizio è tornata viva e impertinente quella sensazione che avevo provato davanti all’autore e pian piano è diventata qualcosa di più di una sensazione. No, ero proprio sconcertata e lo sono tuttora.
Avrei voluto innamorarmi di questo libro, trovarlo una vera preziosità, una vera parabola di vita, ricca di saggezza… e invece no.

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Gli acquerelli di Nicola Magrin sono superlativi, come sempre. Poche macchie di nero e grigio e sembra di essere lì, nel bosco, in mezzo ai lupi. I suoi animali, i suoi alberi e suoi cieli stellati sono davvero perfetti ed è un peccato trovarli a far da contorno, in formato tascabile, quando avrebbero assolutamente meritato un cartonato 30×25 tutto per loro; qualche frase in qua e in là, qualche parola, ma pur sempre un albo illustrato. E spero proprio che non sia troppo tardi, perché quelle illustrazioni carpiscano l’attenzione di Topittori, Orecchio Acerbo o chi per loro.

La storia di questo cane che viene abbandonato dal proprio padrone, che pur lo amava e lo curava, e che si incammina alla volta della Montagna della Luna, meta simbolica e carica di mistero, ha il suo potenziale. Così come ce l’ha l’attraversata del bosco, delle valli, l’incontro con il branco e la vita in natura. Quello che manca invece è la prosa. Terzani vuole parlare a tutti, persino ai bambini, cui solitamente sono destinate le fiabe, ma lo fa ostentando in modo a dir poco eccessivo quello che fin troppo esplicitamente è il suo messaggio. Imbocca continuamente il lettore con le sue verità. È vero che le favole di Esopo terminavano con la morale, ma, per l’appunto, terminavano, mentre qui la morale la troviamo di continuo e lungo tutto il libro. Esopo poi riusciva a trasmettere il messaggio senza che questo risultasse pesante o retorico, mentre tra queste pagine ho trovato proprio tanta retorica e tante banalità, che hanno finito per infastidirmi.

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Mi è tornato in mente il suo inneggiare la vita in montagna, in Appennino, durante la presentazione, contro quella in città, cupa e piena solo di distrazioni inutili e nocive. Un discorso senz’altro pieno di verità, ma anche infarcito di idealizzazione e luoghi comuni. In città vedi solo palazzi e cemento, in montagna puoi ancora godere della bellezza di un tramonto o di un’alba, in città corriamo sempre da una parte all’altra, in montagna tutto segue il ritmo della natura. Sono d’accordo che dovremmo tutti tentare di non perdere il contatto con la natura, alla quale siamo inevitabilmente legati nel profondo, ma, messo così, il discorso non riesce a convincermi fino in fondo.
Chi mi legge, sa bene quanto ami la montagna e quanto mi piaccia fuggirci ogni volta che mi è possibile, proprio per andare a cercare quel legame con la terra, con il bosco, con le nuvole che piano piano ritrova anche il Cane tra le pagine del libro. Ma la domenica sera, seppur a malincuore, torno sempre a casa, tra i palazzi e il cemento di Bologna, dove bene o male ho un lavoro, una famiglia, degli amici e interessi che riesco a portare avanti proprio grazie a ritmi a dir poco caotici. Non dico che sia il solo modo di vivere, ma è certamente uno dei tanti e non a caso uno dei più comuni.

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Questa contrapposizione tra città uguale inferno e bosco uguale paradiso accompagna il Cane in tutto il libro. Lui che vorrebbe tornare dal suo padrone, al caldo di casa, sul lettone morbido e i lupi che invece non ci vedono niente di buono in città, piena di insidie e di false comodità. La natura è culla di veri legami, di istinti sani, di esseri pieni di forza e saggezza. Ma anche qui si cade nella retorica, nella banale dicotomia di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Gli uomini e chi vive al loro fianco si sono allontanati dalle loro origini, dagli istinti più reconditi, persino dalla fede (oltre che dalla fiducia) e allora sono diventati falsi, cattivi e vuoti; gli animali del bosco seguono invece la giusta via, si vogliono bene anche quando si uccidono per mangiare, si rispettano e loro sì che riconoscono l’innominabile, che sta sopra di loro e che ogni giorno concede loro un pasto e un angolino per riposare. Il Cane avrà bisogno di un lunghissimo cammino per ritrovare anche lui la fiducia e la fede e alla fine… la trova così, senza un perché. (Tranquilli, non è uno spoiler, è chiaro fin dalla prima pagina che la troverà!).

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La prosa, dicevo, manca. Si susseguono frasi che a tutti i costi vogliono suonare poetiche, quasi a cercare la sottolineatura facile o a ergersi prepotentemente ad aforisma. È come se l’autore ci credesse troppo, al punto da risultare invece poco credibile. Soggetti e predicati invertiti, perifrasi inutili là dove sarebbero sufficienti parole semplici danno poi al testo un che di pomposo e di poco genuino.

E allora ripeto: sono sconcertata. Mi aspettavo cose… e non le ho trovate. Anzi, qualcosa sì: le bellissime illustrazioni di Nicola Magrin, che finora conoscevo solo per le già lodevoli copertine di Einaudi, ma che qui ha ampiamente dimostrato di potersi misurare con una storia e allora speriamo che la prossima volta sforni un albo.

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Nessuna risposta

  1. interno storie ha detto:

    Non vorrei generalizzare, anche se non ho letto nulla di Folco Terzani, ma a volte ho quasi l'impressione che si campi di rendita, eredità in questo caso. Lui è un tipo "rintronante", ho avuto le tue medesime sensazioni quando ho assistito a Mantova all'incontro di presentazione di Cognetti: parla, urla, parla, urla… Boh!

  2. la Sere che legge ha detto:

    Grazie Marina per questo tuo pensiero… avevo infatti intenzione di chiederti che impressione di aveva fatto a Mantova (ricordavo che eri stata all'incontro). Speravo fosse un abbaglio, il mio, che sono uscita dalla presentazione praticamente ubriaca…

  3. Eugenia Borghi ha detto:

    Grazie sempre per le tue preziose recensioni e impressioni e sempre viva la MONTAGNA E VIVA IL LUPO !!! BUON NATALE

  4. la Sere che legge ha detto:

    🙂 Grazie a te Eugenia. Buon Natale.

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