LIONS

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Scheda del libro

TITOLO: Lions
AUTORE: Bonnie Nadzam
EDITORE: Edizioni Black Coffee
ANNO: 2017
PAESE: Stati Uniti
TRAMA: «Lions, centodiciassette anime», una cittadina fantasma tra gli altopiani del Colorado che piano piano si svuota dei suoi abitanti, in fuga verso la città, la terra fertile, il lavoro… la vita.

Le mie riflessioni

Alcuni mesi fa ero stata alla presentazione di Lions a La confraternita dell’uva, con Sara Reggiani, Leonardo Taiuti e La McMusa. Un po’ provata e delusa da Il corpo che vuoi, avevo intuito che il romanzo della Nadzam fosse più nelle mie corde. Ecco allora che quando Francesca del gruppo di lettura La confraternita dei lettori l’ha proposto per la prossima lettura condivisa, ho risposto subito entusiasta.

Quella narrata da Bonnie Nadzam è un’America lontana dalle città, fatta di piccolissime comunità che si riuniscono intorno alla pompa della benzina, il bar e il diner. Regna un forte senso di appartenenza e di solidarietà tra i suoi membri, che si aiutano a vicenda, si fanno compagnia, quasi fossero una grande famiglia.
Realtà fuori dal tempo, quanto meno da quello della contemporaneità, fatta di consumismo, cellulari, internet e viaggi: a Lions sembra che siano ancora gli anni ’50, con pickup da 500 mila Km che passano di padre in figlio da ormai tre generazioni e milkshake da bere al diner. Ma qui si tramandano anche i mestieri, quasi fossero parte del patrimonio genetico.
La cittadina è messa in ginocchio dall’aridità, che sembra aumentare giorno dopo giorno e dal forte esodo dei suoi abitanti. Chi vi è costretto dalla povertà ormai imminente, chi dalla vecchiaia e chi ancora dal desiderio impellente di andare verso la vita vera e di viverla a pieni polmoni. Chi rimane non sembra però vedere di buon occhio tali fughe verso l’esterno, che, inevitabilmente, segnano una rottura completa dei legami. Infatti a Lions sembrano non esistere telefoni (a parte pochi casi), non arrivano lettere, cartoline e tanto meno email. Chi parte è perso per sempre.
Il sogno più grande di Leigh è partire e scoprire cosa ci sia lì fuori; si sta preparando per il College, ormai manca poco e tutti hanno la loro da dirle. Qualcuno la appoggia, dicendo che Lions non è un luogo per giovani come lei:

«Va a prenderti il mondo, le dicevano ogni volta che potevano, nel diner, per strada. È lì che ti aspetta.» 

Ma c’è anche chi invece vorrebbe tenerla ancorata a casa, ai solidi valori della famiglia e della comunità. Persino l’amicizia e l’amore diventano un dovere dal quale non ci si può sottrarre, a costo di sacrificare i propri sogni, pena il rimorso e la dannazione a vita. Pagina dopo pagina cresce dunque il senso di asfissia e la strada statale, da cui arrivano viaggiatori affamati e curiosi alla ricerca di un panino, più che una via di fuga, sembra diventare sempre più un miraggio, un’illusione ottica dovuta al caldo torrido dell’altopiano.

La prosa di Lions parte un po’ confusa, con periodi contorti che richiedono di essere riletti per non perdere il filo del discorso e la trama fatica a prendere il via. Ci sono volute le prime cinquanta pagine per orientarmi tra personaggi e piani temporali, poi ho finalmente colto il fitto intreccio tra fatti, pensieri e leggende. L’indicativo si alterna infatti al condizionale e non sempre è facile capire quando le cose stiano accadendo veramente o quando sono solo supposizioni.

Un’ultima considerazione vorrei invece farla sui numerosi accenni al cibo, sparsi per tutto il libro. Panini, panini e ancora panini, con abbinamenti a dir poco imbarazzanti (polpettone e marmellata di uva?), burro, patatine fritte e pancetta… insomma, quell’America che anche al di qua dell’Atlantico spesso ci immaginiamo, molto poco attenta alla linea, ma soprattutto alla salute.

Nel complesso però questo è un romanzo dal sapore steinbeckiano, sulla famiglia, la povertà, il caldo e la polvere di una parte di America che non ha niente a che vedere con le luci e gli sfarzi delle città. A Lions, ne sono sicura, si sentono ancora i grilli e a giugno, forse, brillano persino le lucciole!

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