IL CORPO CHE VUOI
Scheda del libro
TITOLO: Il corpo che vuoi
AUTORE: Alexandra Kleeman
EDITORE: Edizioni Black Coffee
ANNO: 2017
PAESE: Stati Uniti
TRAMA: A e B vivono insieme. Si assomigliano molto e B è ossessionata da A.
A sta con C che trascorre il tempo libero guardando reality show in TV e mangia esclusivamente cibo in scatola. B mangia solo ghiaccioli e non esce di casa, mentre A è ossessionata dalle pubblicità delle merendine Kandy Kake e si ciba quasi esclusivamente di arance.
Le mie riflessioni
Proprio pochi giorni fa mi hanno chiesto se scrivo solo recensioni positive… ecco, non voglio certamente emulare Michela Murgia e le sue stroncature – che reputo un’operazione pubblicitaria volta all’aumento dell’audience e al click baiting – ma se ho delle critiche, solitamente lo dico.
Questa premessa per dire quanto sia combattuta nel buttar giù queste poche righe. Per la prima volta mi trovo in difficoltà a dover dire la mia, anche se è inutile che ci giri troppo intorno: ho fatto una fatica terribile a finire questo libro.
Black Coffee è una casa editrice indipendente che ha esordito a febbraio proprio con Il corpo che vuoi, seguito a marzo da Lions e prossimamente da Happy Hour. È stata creata dai giovanissimi Sara Reggiani e Leonardo Taiuti, traduttori provenienti da altre esperienze editoriali (prima Giunti, poi Edizioni Clichy): coraggio da vendere, spontanei e una passione che gli si legge chiara negli occhi. Ho avuto il piacere di incontrarli a Bologna il mese scorso, durante il tour che li ha portati in giro per alcune città insieme a La McMusa e ne avevo accennato qui. Insomma, le aspettative erano alte e non tanto per il gran parlare che a volte accompagna l’uscita di un libro, ma per la genuinità e la freschezza di questo progetto che apprezzo nella sua essenza. Mi affascina la semplicità con cui i due editori raccontano la propria storia, di come si sono conosciuti, di come hanno capito che entrambi cercavano altro e che quel qualcos’altro dovevano forse andarlo a fare per conto loro, senza l’aiuto di altri marchi alle spalle. In un’epoca di paura a buttarsi e a sognare, mi ha colpito la loro spinta e la loro decisione di mollare tutto e provare. Ovviamente tutte queste considerazioni rimangono completamente invariate e io continuo a tifare per loro, anche se il primo titolo che hanno proposto a me non ha convinto molto.
L’ambientazione e l’atmosfera sono quelle del romanzo distopico anche se fino a due terzi del libro la storia non sembra prenderne completamente le vesti, muovendosi in un mondo che potrebbe essere anche quello presente, solo un po’ più esasperato. La narrazione, così come gli ambienti, le relazioni… tutto è asettico e freddo e là dove potrebbe entrare il calore del sentimento, ci pensa l’onnipresente aria condizionata a riportare tutto a temperature glaciali. Le emozioni sono bandite, fatta esclusione per l’angoscia ossessiva: quella di B davanti all’assenza di A, quella di A nella ricerca di C e la mia davanti a questa realtà alla deriva, ormai priva di valori e speranze. Non esistono relazioni “normali”, segnate invece da un terribile bisogno di dipendenza gli uni verso gli altri e verso gli oggetti che li circondano. Sono relazioni malate, svuotate di sentimento: A e C trascorrono il loro tempo insieme seduti sul divano a guardare gli squali, intercalati da infinite e tormentate pubblicità. Persino il sesso è ridotto a un amplesso asettico, svolto con il sottofondo di film porno, caso mai fosse rimasto un pizzico di passione tra le lenzuola. B non esce di casa da non si sa quando, se non per andare a spiare il suo ex che l’ha cacciata a pedate ormai anni fa e nel frattempo cerca di impossessarsi dell’identità di A. Per il resto compaiono e poi scompaiono vicini vestiti da fantasma e una grande quantità di commessi del Wally’s, nascosti dietro a una faccia enorme di gomma piuma. Niente di completamente umano, mi verrebbe da dire.
Di malato c’è tanto altro tra queste pagine. Tanto per iniziare il rapporto che i personaggi hanno con il cibo. B tende all’anoressia seria, cibandosi solo di ghiaccioli, A rincorre le agognate merendine Kandy Kake per metà del libro e per il resto mangia arance su arance, mentre la cucina di C straripa di scatolette di ogni sorta. Poi c’è la carne di vitello, da cui il supermercato è via via invaso. I commessi dichiarano che la sua richiesta è vertiginosamente aumentata da quando Michael – altra comparsa fuori di testa – ha raccontato la sua storia in televisione, anche se le corsie appaiono sempre completamente deserte. Di cibo si parla tanto, quasi continuamente e in modo ossessivo, ma non si mangia quasi mai o, quando lo si fa, non si mangia cibo vero: mandarini in lattina, hotdog che sanno di plastica, merendine che non hanno niente di organico al loro interno… Ovviamente anche questa è solo un’esasperazione della realtà odierna, che, tra OGM, ormoni e fragole a gennaio, non è certamente più genuina di quella prospettata dalla Kleeman. Lo stesso vale ovviamente per la televisione che vomita continuamente pubblicità assurde – e che personalmente ho saltato quasi in toto – e reality show ancora più pazzeschi.
Insomma, un contesto da far accapponare la pelle, dal quale l’unica via di uscita sembra essere la fuga in un mondo parallelo, molto orwelliano, in cui è necessario annullare completamente se stessi per farne parte.
Come tutti quelli che in questi mesi ne hanno parlato, ovviamente ci ho visto anch’io molto della nostra società tra questa pagine, ma una società nella quale personalmente non mi riconosco. Prima di tutto penso che ci sia la scelta e la consapevolezza, valori che io cerco di applicare ogni giorno, quando non accendo la TV o quando faccio quasi la spesa nei mercati contadini, dove trovo carote bitorzolute che sanno di carota e formaggi fatti con il latte di mucche che pascolano nei prati. Quindi sì, la nostra società… ma sta poi a noi modellarla e farle prendere – anche solo nel piccolo delle nostre esistenze – una piega più umana. E Alexandra Kleeman in fondo forse vuole dire proprio questo, chissà. Solo che il suo libro è così – volutamente – freddo e privo di emozioni che io non sono riuscita a sentirlo e sono stata lì lì per abbandonarlo non so quante volte. Che poi non è che non mi sia proprio piaciuto… o meglio, mentre lo leggevo ho pensato diverse volte che non mi piaceva, ma ora che rifletto e scrivo, be’, si è scoperchiato il vaso di Pandora e mi sembra di cogliere tante sfumature a cui non avevo pensato. Però è indubbio, è un libro faticoso, di quelli che quando arrivi all’ultima parola ti senti proprio soddisfatto per avercela fatta. Ecco sì, sono contentissima di averlo finito e subito dopo averlo chiuso ho sentito il bisogno di buttarmi su qualcosa che sapesse di classico, di polveroso… di emozionante.
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