GRANDE COME L’UNIVERSO

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Scheda del libro

TITOLO: Grande come l’universo
AUTORE: Jón Kalman Stefánsson
EDITORE: Iperborea
ANNO: 2015
PAESE: Islanda
TRAMA: Ari è in Islanda per vedere il padre, ormai anziano e con problemi di salute. Continua il vortice di ricordi del suo passato e di quello della sua famiglia, iniziato ne I pesci non hanno gambe. Troviamo ancora la nonna Margrét, gli zii e il mare, ma prende sempre più spazio l’infanzia di Ari stesso e la perdita della madre. È così che il protagonista tenta di ritrovare se stesso e di dare un senso al rapporto da sempre assente con suo padre.

Le mie riflessioni

Avevamo lasciato Ari immerso in un mare di ricordi della vita di Margrét e Oddur, i loro figli, la forza del mare… e poi l’arrivo a Keflavík e gli anni di giovinezza nella cittadina allora caratterizzata dalla forte presenza dell’esercito americano. Grande come l’universo riprende proprio lì dove ci eravamo interrotti e continua sulla stessa strada. Finisce di percorrere la storia di Margrét, con i dolori, le delusioni e le gioie della sua, come di qualunque altra vita; emerge pian piano la voce della madre di Ari, della sua storia d’amore con Jakob, della malattia e della morte; e poi ci sono gli amici della prima età adulta. Questo lungo viaggio attraverso il tempo e i ricordi portano Ari a scoprire un se stesso nascosto, ferito e spaventato. Ari cresce solo, tra la perdita della madre e il silenzio imperterrito del padre; un silenzio che non cerca mai di spezzare e che affronta chiudendosi ogni giorno di più al mondo e alla comunicazione. Lungo il camino incontra qualche amico, poi arrivano la moglie e i figli, ma lui sembra rimanere sempre spettatore e non diventare mai attore partecipante nelle relazioni in cui si trova invischiato. Non sa neanche lui se è ancora innamorato o meno della moglie, semplicemente lascia che le cose gli sfuggano di mano; le figlie gli mandano messaggi, ma lui non le informa neanche del suo ritorno in Islanda; la matrigna gli scrive una lunga lettera, aprendo il proprio cuore, ma Ari tarderà giorni prima di trovare la forza di aprirla e leggerla. Il silenzio del padre è entrato talmente tanto a far parte della sua vita, che lui lo ha assunto come stile di vita. Sarà Anna, l’ultima compagna del padre a svelargli che
«Diventa tutto molto più difficile quando non si riesce a parlare […]Va a finire che ferisci tutti quelli che ti stanno intorno».
Le parole però non sono completamente assenti e in famiglia pullulano infatti gli scrittori, con la poesia in prima linea. A partire dallo zio Tryggvi, poi Þórður, la mamma di Ari, Veiga e Ari stesso. C’è chi ha pubblicato qualche verso sul giornale, chi un libro, ma il sentimento che muove ognuno di loro è lo stesso, quasi un bisogno vitale, che né Oddur né Jakob comprendono. Entrambi sembrano quasi offesi da tale velleità, quasi fosse sintomo di fragilità… loro che affogano ogni pensiero nel lavoro; nel loro mondo tutto è fisico e tutto è forza , non c’è spazio per le emozioni e per i sentimenti. Uno in mare e l’altro sulla terra ferma è con le braccia e con il coraggio che affrontano le tempeste, seminando vittime sul loro cammino. Ma rappresentano decisamente una minoranza del popolo islandese che, da quanto appare dai tanti articoli che si trovano in rete, è composto da fervidi lettori e scrittori prolifici. Pare anzi che un abitante su dieci abbia pubblicato o stia pubblicando regolarmente libri, incoraggiati probabilmente dal freddo e dal buio che li circonda per i lunghi mesi invernali. Nella lingua islandese esiste addirittura un termine per indicare il fenomeno straordinario che investe ogni anno il mercato del libro in epoca natalizia: jolabokaflod (invasione dei libri di Natale). Ebbene sì, altro che giochi, gioielli e cioccolatini, il regalo più diffuso è proprio la carta stampata!
Tra le pagine di Stefánnson traspaiono anche altri aspetti della quotidianità islandese. Si fa spesso riferimento al cibo e ai pasti, alla zuppa di avena della colazione (immagino simile al porridge inglese) con o senza zucchero, più o meno densa, alla torta marmorizzata e alle polpette di carne dello zio. Mi sono anzi stupita dell’attenzione quasi ossessiva che anche in Islanda sembra esserci per la gastronomia: speravo fosse prerogativa dell’Italia. Con tono velatamente polemico Stefánnson nomina infatti «gli innumerevoli programmi di cucina, le ricette che i mezzi di comunicazione pubblicano come avemarie, come una consolazione, un salmo», contrapponendoli all’abitudine dello zio di cuocere tutto fino a ridurlo in poltiglia. Si parla poi di uso (e abuso) di alcol, di lavoro giovanile, di amore e, ancora una volta, di morte.
Lo stile di Stefánnson si riconferma complesso, caratterizzato da continui salti temporali e reminiscenze che talvolta rendono poco scorrevole la lettura, già affaticata dai nomi propri islandesi, che non è semplice memorizzare. Un libro da consumare poco per volta, senza perdere la concentrazione, per coglierne la vera essenza; questa risiede nelle tematiche profonde e nella poesia di certe frasi, che vanno lette e rilette, assaporate e, magari, annotate.
«È una benedizione e una condanna, vedere oltre, vedere di più degli altri che ti circondano, vedere un mondo più grande di quello che ti appare davanti»
«Le poesie sono una bella cosa, si possono usare come coperta quando nel mondo fa freddo, possono essere grotte scoperte al di fuori del tempo, con strani simboli sulle pareti, ma hanno ben poco da dire se le ossa sono stanche, se la vita ti ha scartato e la tazza del caffè è l’unica cosa che ti scalda le mani la sera».

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