ECCOMI
Scheda del libro
TITOLO: Eccomi
AUTORE: Jonathan Safran Foer
EDITORE: Guanda
ANNO: 2016
PAESE: Stati Uniti
TRAMA: Jacob e Julia sono giunti al traguardo. Il loro matrimonio è in crisi, ma come dirlo ai figli? E soprattutto, quando? Prima c’è un Bar Mitzvah da organizzare, un funerale, i parenti per casa e Israele sull’orlo dell’annientamento, poi ci si potrà pensare.
Le mie riflessioni
A fine estate ero entusiasta all’idea che Jonathan Safran Foer stesse pubblicando un nuovo romanzo. A suo tempo avevo amato Molto forte, incredibilmente vicino, mentre avevo trovato Ogni cosa è illuminata di gran lunga inferiore al film… cosa alquanto rara.
Bene, dicevo che a fine estate ero particolarmente contenta, quasi emozionata a tal punto da correre a Mantova un sabato pomeriggio, sotto a un sole accecante, per assistere alla presentazione in apertura al Festival della Letteratura. Una platea stracolma e una fila inverosimile per tornare a casa con una firmetta, nuda e secca, sul frontespizio del libro. Ma io ero comunque felicissima di vedere Jonathan Safran Foer dal vivo e di capire perfettamente il suo inglese senza bisogno di traduzioni, sempre più curiosa di tuffarmi in questa storia che, come lui stesso affermava, dedica ampio spazio alla ricerca della felicità. In realtà ho atteso diverse settimane prima di iniziare il libro e, nel frattempo, ho assistito alla sua rapida discesa sui social network: dalle aspettative altissime del pre-uscita, alle poche critiche entusiaste e alle numerose stroncature. Alla fine ho deciso di prendere in mano Eccomi e decidere io stessa si trattava di un flop o meno.
Le dinamiche familiari, il matrimonio in crisi, i figli… questi gli argomenti principali, visti per lo più attraverso gli occhi di Jacob, marito e padre di tre bambini tra i cinque e i tredici anni. Il ritmo parte incalzante, con i primi disaccordi tra marito e moglie e la difficoltà di un preadolescente introverso, incompreso da genitori e insegnanti. Ben presto però le digressioni e le elucubrazioni del protagonista mettono a repentaglio la scorrevolezza della storia, che, dopo il primo centinaio di pagine, si affossa e sembra non voler più procedere. Scene eterne, non particolarmente utili al contesto e, almeno da questa parte dell’Oceano, apparentemente inverosimili. Vogliamo per esempio parlare della simulazione ONU della scolaresca, con tanto di ipotetiche bombe atomiche e grandi potenze internazionali? O di Jacob che partecipa di nascosto alle riunioni della National Association of Deaf, fingendosi un insegnante di scuola elementare per sordi? Che bisogno c’era? A parte far nascere seri dubbi sull’equilibrio mentale del protagonista, non vedo cosa aggiungano alla storia. E se vogliamo essere polemici fino in fondo: perché il terremoto devastante in Medio Oriente? Sì, capisco il parallelismo “fine di un matrimoio – (possibile) fine di una potenza mondiale”, ma penso anche che non fosse necessario scomodare la fantascienza catastrofica per parlare di fallimenti sentimentali e familiari. Tanto più che con questa catastrofe si va a toccare un argomento delicato e controverso come quello di Israele, secondo me qui lasciato (volutamente?) aperto e ambiguo.
Ma ciò che stona di più è forse l’intelligenza esagerata della maggior parte dei personaggi, così come fa notare Paolo Nori in questo articolo de Il Post. Ragazzini che snocciolano frasi iper-colte e che dominano argomenti filosofici o di attualità, con una naturalezza che neanche stessero parlando dell’ultimo supereroe di turno: Benji, di cinque anni, che durante il funerale del bisnonno, discorre dell’esistenza o meno di Dio con il padre e Max, dieci anni, che legge articoli sui profitti di Second Life e dimostra a Jacob quanto la sua serie televisiva renda di meno della community di realtà virtuale:
«A questo gioco ci giocano settanta milioni di persone. E devono comprarlo, non solo accendere la televisione quando hanno voglia di passare del tempo con i figli o di spupazzarsi la moglie».
Ebbene sì, è il bambino che parla.
Mi sono quindi lasciata infastidire dalla saccenteria di certi dialoghi, cervellotici, troppo “aulici” per essere veri. Ma forte è stata anche l’antipatia che un paio di personaggi hanno suscitato in me. Irv, il nonno paterno di Sam, Max e Benji, il padre di Jacob, è un ebreo arrabbiato con il mondo e sempre pronto all’invettiva attraverso il suo blog, egocentrico e arrogante, profondamente convinto che il mondo odi gli ebrei in toto. E anche lui se ne esce con frasi improbabili come:
Mi sono quindi lasciata infastidire dalla saccenteria di certi dialoghi, cervellotici, troppo “aulici” per essere veri. Ma forte è stata anche l’antipatia che un paio di personaggi hanno suscitato in me. Irv, il nonno paterno di Sam, Max e Benji, il padre di Jacob, è un ebreo arrabbiato con il mondo e sempre pronto all’invettiva attraverso il suo blog, egocentrico e arrogante, profondamente convinto che il mondo odi gli ebrei in toto. E anche lui se ne esce con frasi improbabili come:
«Dovresti forgiare nella fucina della tua anima la coscienza increata della tua razza».
Giuro che l’ho dovuta rileggere tre volte e ancora adesso non sono certa di cogliere esattamente che cosa voglia dire.
Poi c’è Julia, per cui non sono riuscita a provare nemmeno un briciolo di empatia, che reagisce ai messaggi erotici del marito a un’altra donna, con un tagliente
«La cosa più triste per me è stato rendermi conto che non ero triste».
Certo, è esaurita, ha una casa, con tre figli e un cane, sulle spalle e Jacob non sembra aiutarla granché, ma Julia è anche un cubetto di ghiaccio e una di quelle che «si fa come dico io e punto».
Al contrario, Jacob, nel suo essere smidollato e inconcludente, mi ha fatto pena e man mano che proseguivo nella lettura mi rendevo conto di quanto fosse triste la sua vita. Non riesce mai a riscattarsi, a fare quel passo in più per sentirsi realizzato, soddisfatto di sé, capito e accettato, nemmeno integrato. Jacob è un uomo solo, non riesce ad aprirsi con nessuno e, soprattutto, non è in grado di toccare con mano e dimostrare le proprie emozioni. Ha sempre la battuta pronta per nascondere a se stesso la tristezza che lo pervade, senza essere così in grado di affrontarla e di superarla. Sul punto di risposarsi, Julia gli dirà:
«Tu ritorni continuamente, Jacob. Solo che ritorni sempre come te stesso».
In più, un se stesso che lui non accetta e non apprezza.
Insomma, un romanzo che mette a dura prova il lettore e che più volte sono stata sul punto di accantonare, per passare al prossimo libro in attesa. Il verdetto finale non può che essere brutale: assolutamente sopravalutato.
Bebè ero indeciso se comprarlo o no . Ora mi hai convinto a lasciarlo in negozio. Grazie 🙂 Arturo
Ah Ah… io ti direi che fai benissimo, anche se poi ho letto pareri molto discordi.