MAUS

MausScheda del libro

TITOLO: Maus
AUTORE: Art Spiegelman
EDITORE: Einaudi
ANNO: 2000
PAESE: Stati Uniti
TRAMA: Due generazioni a confronto durante una serie di colloqui tra padre e figlio, che a colpi di fumetti ricostruiranno la vita di Vladek, ebreo polacco sopravissuto all’Olocausto, dall’avvento del nazismo alla fine della guerra.

Le mie riflessioni

Come ho detto più volte, la mia cultura in ambito fumetto è alquanto scarsa, anche se nell’ultimo anno mi è nata una certa curiosità, che mi sta pian piano portando a scoprire un mondo ancora nuovo.

Qualche settimana fa, durante una conversazione Skype con un’amica che vive a Londra, è venuto fuori il nome di Maus e subito me lo sono segnato. Ecco dunque che, quando l’ho trovato tra i libri suggeriti dalla mia biblioteca di quartiere, ho colto la palla al balzo.
Quando ho cominciato il libro, sapevo solo che parlava di Olocausto e che gli Ebrei erano rappresentati da topi. Sono bastate poche strisce per rendermi conto che avevo tra le mani un vero e proprio capolavoro. Un libro intenso e toccante, una storia potente, narrata con grande intelligenza. Insieme a Vladek, Anja e Artie ho sorriso, ho sperato, mi sono infuriata e ho pianto…
Maus, la prima opera a fumetti ad aver vinto un Premio Pulitzer (nel 1992), dimostra come anche attraverso il disegno si possa parlare di tematiche così serie e delicate. E Art Spiegelman lo fa in modo alquanto particolare, mettendo in scena tutta una serie di animali che fanno le veci degli uomini: topi per gli Ebrei, gatti spietati per i nazisti, maiali per i Polacchi, cani per gli Americani, e così via. E lo stesso autore si interroga più volte se non si sia imbarcato in un’impresa impossibile e se non starà affrontando l’Olocausto in modo poco adeguato, magari sminuendo o mancando di rispetto alle numerose vittime dei lager e del nazismo. A quanto pare neanche gli editori credevano molto nel potere di queste pagine, tanto che, una volta terminato il primo volume, non è stato facile per Art Spiegelman trovare chi fosse disposto a pubblicarle. Stupendo tutti, il libro ha però da subito riscosso grande successo tra i lettori e ancora oggi viene adottato in scuole e commentato in dibattiti e conferenze.
Tra le pagine di Maus, la storia di Vladek si intreccia continuamente alla quotidianità del “presente”, o meglio del presente di Artie fumettista, che decide di ricostruire la storia del padre, probabilmente spinto anche dal desiderio di entrare in contatto con lui, con cui non sembra avere un rapporto molto stretto. Su Vladek i segni della guerra sono più che evidenti a livello fisico, ma soprattutto a livello psicologico. Ossessioni e fobie avvelenano infatti la sua vita, rendendolo una persona difficile con cui relazionarsi: i soldi, l’eccessivo controllo dell’ordine e della vita altrui sono solo alcune delle sue fastidiose caratteristiche. Ma Artie forse tenta anche di riconciliarsi con il padre sopravissuto da Auschwitz, verso cui nutre un forte senso di inferiorità, per aver avuto una vita più semplice. Ma non è forse anche lui un sopravissuto? Non al lager, certo, ma alla ferita ancora sanguinante dei propri genitori, al fantasma del fratellino morto in guerra, al suicidio della madre, alla freddezza e al giudizio sempre desto del padre… insomma, ci sono proprio tutti gli ingredienti per una psiche un po’ incasinata, che probabilmente Art Spiegelman ha in parte esorcizzato attraverso la matita.
Infine, una menzione alla traduzione di Cristina Previtali che, come indicato dettagliatamente in nota, ha saputo ricreare in modo sorprendente l’effetto della lingua di Vladek, un ebraico-newyorkese che in italiano non avrebbe corrispettivi.
Un romanzo a fumetti che si prende il suo tempo per essere letto e digerito, con immagini molto semplici, ma al tempo stesso particolarmente evocative, che mi hanno trasmesso forse meglio di tanti film la disperazione e l’orrore del nazismo. Insomma, un libro che penso dovrebbe passare per le mani di tutti e che, se tornassi al liceo, vorrei me lo facessero leggere anche in classe!

«Don’t you think that a comic book about the Holocaust is in bad taste?»
«No, I thought Auschwitz was in bad taste».

[Non crede che un fumetto sull’Olocausto sia di cattivo gusto?
No, credo che l’Olocausto fosse di cattivo gusto]

Art Spiegelman intervistato da un giornalista tedesco nel 1987.

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