LE FATE DEL TRAVANCORE
Scheda del libro
TITOLO: Le fate del Travancore. Tre magiche storie di donne dell’India
AUTORE: Nicola Tenani
EDITORE: Edizioni dell’Eremo
ANNO: 2016
PAESE: Italia
TRAMA: Tre donne per tre racconti ambientati nello stato del Kerala, in India meridionale.
Subha, già vedova, perde anche il figlio a causa di un incidente e rimane così sola ad affrontare le difficoltà della vita e della povertà, aiutata dai vicini. Sajitha, una giovane studentessa e talentuosa nella danza classica Mohiniyattam, si prepara per partecipare a un importante concorso, aiutata dalla maestra Manju. Infine Judy, che, insieme al marito, cerca di salvare il proprio matrimonio, messo in crisi dalla forte povertà.
Le mie riflessioni
È buffo come funziona l’attenzione selettiva. Personalmente non ho mai sentito un particolare richiamo verso l’India. Conosco diverse persone che ci sono state, che sperano di tornarci o che sognano di andarci per la prima volta. Ammetto però di non averci mai fatto troppo caso e di non aver dato adito a lunghe conversazioni in proposito. Bene, in questi giorni, mentre leggevo Le fate del Travancore, mi sembrava che tutti e tutto mi parlassero proprio dell’India. TV, social networks, un amico appena tornato… E così mi è venuto naturale intrecciare racconti e cose lette in qua in là, con quanto Nicola Tenani descrive nel suo libro.
Nel 2014 Nicola e la moglie Valentina decidono di prendere un’aspettativa dal lavoro, per trascorrere sei mesi in Kerala, insieme alla figlia Isabel, allora di 4 anni e mezzo. Prestano servizio presso una ONG locale, che si occupa prevalentemente di infanzia e donne, oltre a portare avanti progetti di aiuto per le caste svantaggiate. Durante questa affascinante e ammirevole avventura, tengono un blog, tramite cui documentano la propria esperienza.
Fino all’Indipendenza del 1947, il Travancore era uno Stato principesco del sud dell’India, oggi parte della provincia di Kerala, insieme a Kochi e Malabar. Anche se non più tracciato da confini amministrativi, il Travancore continua a esistere come cultura e lo si trova ad esempio nella cucina, nelle usanze e nella natura rigogliosa.
Nicola Tenani ci racconta il Kerala attraverso tre donne, le cui storie non sono del tutto romanzate, come lui stesso afferma nell’introduzione al libro, ma frutto di una riflessione sulle vite vere di donne che ha avuto occasione di incontrare in quei mesi. Il libro si articola quindi in tre racconti: Subha e il topolino, Il varnam di Sajitha e Judy, la moglie ritrovata. Oltre alle protagoniste, onnipresente è la natura, con la sua vegetazione rigogliosa e la varietà sorprendente di animali: banani, mandorli, tapioche, alberi del caucciù e palme, così come parrocchetti, manguste, cani e gatti randagi, gufi e serpenti. Ma la natura talvolta si fa notare anche con violenza, così come accade con la tempesta del primo racconto, che causa danni ingenti alla già povera abitazione di Subha, o con lo tsunami del 2004, di cui si colgono ancora i segni profondi in Judy, la moglie ritrovata. E così la tragedia si somma alla già difficile sussistenza di certe fasce di popolazione, rendendo sempre più precarie le loro vite e gettandole sempre di più nella disperazione, che purtroppo alcuni tentano di superare annegando tutto nel toddy (un distillato di latte di cocco).
In mezzo a tanta desolazione, spicca però una grande umanità, fatta di solitudine, riservatezza e determinazione:
«Non si dissero molto altro, entrambi anime solitarie in un luogo dove la solitudine non si colmava mai, sinonimo di stento e attesa, poche emozioni, cuori aridi per necessità, tenendo le proprie virtù ben celate nel profondo di sé»
Uniti nella disgrazia, così come nella speranza, gli abitanti di questi villaggi sembrano conoscere molto bene la forza della solidarietà. I vicini di Subha, che accolgono la donna in casa e la aiutano come possono, gli abitanti del villaggio di Joosamarian, che lo salutano con un banchetto sulla spiaggia, ma anche Arulseli, che cerca di aiutare i giovani sposi perché possano dar al più presto inizio alla loro nuova vita. Tutti, nel loro piccolo e a modo loro, partecipano alla vita dei propri compagni di sventura, aiutandoli e accompagnandoli, forse nel tentativo di rendere un po’ meno gravosa quella solitudine che ognuno di loro si porta dentro. Senza cadere in retoriche da bar, direi che questo senso della comunità e della solidarietà è andato perduto nelle nostre città, dove siamo sempre tutti di corsa e chiusi ognuno nel proprio bozzolo, come migliaia di bruchi, in attesa di trasformarci in chissà quale farfalla meravigliosa.
Diversa mi è parsa invece l’ambientazione del secondo racconto. Sajitha non sembra appartenere a una casta particolarmente povera; forse neanche ricca, ma abbastanza da potersi occupare anche della propria passione, oltre che della mera sussistenza.
Sajitha pratica Mohiniyattam, una danza classica tipica del Kerala. La sua insegnante vede in lei un grande talento, tanto da prepararla e accompagnarla a un importante concorso. La descrizione degli accessori (abiti, gioielli, trucco) legati alla danza è particolarmente affascinante, ma colpisce ancor più il forte legame tra le tre donne del racconto: Sajitha, la madre e la maestra Manju. Tra la ragazzina e la madre prevale la complicità, quasi fossero due coetanee: sole in casa, si divertono a danzare insieme in grande segreto, riproducendo le coreografie moderne dei film di Bollywood. Manju ricopre invece un ruolo più autoritario e formativo: il rispetto che le porta la ragazzina è tale da diventare quasi riverenza. Mi riferisco ad esempio al baciapiedi che Sajitha le riserva a ogni saluto: un gesto quasi incomprensibile o addirittura umiliante ai nostri occhi, che siamo portati a leggerlo come un segno di forte sottomissione e gerarchia. Tuttavia l’affetto e la stima che la stessa Manju dimostra continuamente per la propria studentessa, sono genuini e non hanno niente di autoritario in sé, anzi, si inseriscono anche questi in un contesto tutto al femminile dove unione e condivisione sembrano all’ordine del giorno.
Affascinata dalla scelta coraggiosa di Nicola e Valentina, emozionata di ritrovarli con la loro bimba, in un piccolo cammeo nel secondo racconto, mi sono lasciata accompagnare da queste donne alla scoperta di un mondo a me poco conosciuto, che ora, forse, sento un po’ meno lontano.
Commenti recenti